Venghino Signori, venghino, nel tempio dell’arte contemporanea. Se fossimo nell’antica Grecia sarebbe dedicato alla dea Atena, ma nel XXI secolo la Tate Modern è uno dei templi più importanti dell’Arte Contemporanea, e la mostra Olafur Eliasson: in real life ne è la prova. Un’esposizione che può essere realizzata solo in determinati musei – infatti dal 14 febbraio al 21 giugno 2020 sarà la volta del Guggenheim Museum di Bilbao – e con, ovviamente, budget di un certo livello. Ma in realtà, anche se sono passati più di 15 anni, sembra che l’artista danese non abbia mai lasciato la Tate Modern, perché la sua installazione The weather project nel 2003 alla Turbine Hall è leggenda, anzi storia.
Così la mostra curata da Mark Godfrey, Senior Curator, International Art, ed Emma Lewis, Assistant curator, con la stretta collaborazione dello Studio Olafur Eliasson non solo ripercorre la carriera e produzione artistica dell’artista, ma delinea l’evoluzione della ricerca, della sperimentazione, degli interessi e delle battaglie che ha compiuto negli anni.
Le forme geometriche
Basti vedere tutti i modelli che accompagnano l’ingresso del visitatore in mostra per capire come la forma geometrica abbia avuto un ruolo importante nella sua evoluzione artistica. Nella Model Room è così possibile vedere 450 modelli, prototipi e studi geometrici di varie dimensioni realizzati da Eliasson in collaborazione anche con l’artista islandese, matematico e architetto Einar Thorsteinn (1942–2015).
L’emergenza climatica
Ma è l’emergenza climatica il messaggio di molte delle sue opere. Per chi non dovesse ricordarsi Ice Watch, l’installazione di ghiaccio glaciale della Groenlandia allestita lo scorso anno a Londra e davanti alla sede europea di Bloomberg, con lo scopo di aumentare la consapevolezza dell’emergenza climatica, vengono presentate in mostra fotografie che ritraggono performers ma anche gente comune, approcciarsi ai blocchi. Siamo abituati a vedere foto del prima e del dopo di tante trasformazioni, ma quando riguarda la natura e la modifica quasi totale di un paesaggio restiamo scioccati. Così vedendo gli stessi ghiacciai fotografati prima nel 1999, e poi nel 2019, capiamo ancora una volta purtroppo di come il cambiamento climatico sia una realtà sempre più evidente e impellente.
Perdersi nella nebbia
E poi…la nebbia…Sì perché rientra nel percorso espositivo l’installazione Din blinde passager: ossia un corridoio lungo 39 metri– ed è qui che a mio giudizio il museo trova la sua consacrazione – dove il visitatore, istruito prima da un’assistente di sala, percorre un lungo spazio perdendosi in una sostanza atossica che ricrea la sensazione e percezione della nebbia che passa dall’arancione, al giallo e poi al bianco. Così il visitatore si abbandona, accompagnato dal dubbio e dall’incertezza, all’esperienza artistica ed emotiva, in cui le altre persone diventano sagome informi che vagano vicino. Un eccellente esempio di dialogo tra il museo e il genio creativo di un artista, poi se quest’ultimo è Olafur Eliasson l’esperienza è imperdibile.
Frammenti di luce
L’opera Your spiral view è la sublimazione della sperimentazione delle forme geometriche a cui vengono applicate superfici specchiate e illusioni ottiche. Così, in quello che può ricordare uno Stargate dinamico, si vede lo studio della frammentazione e del dinamismo.
Chi è quindi Olafur Eliasson?
Dopo aver visitato la mostra e aver attraversato forme geometriche e illusioni ottiche, giochi di luce ed esperienze sensoriali, cosa resta della mostra al visitatore? Per colui che non ha mai sentito parlare di Olafur Eliasson la scoperta di un nuovo artista che ama sperimentare in ambiti diversi, e per chi lo segue da anni, la indiscussa conferma della naturale genialità e passione che spinge l’artista danese a portare avanti le sue ricerche e battaglie, soprattutto a favore dell’ambiente. Una sperimentazione che ha come fil rouge la percezione dell’ambiente che ci circonda.
www.tate.org.uk/tate-modern/exhibition/olafur-eliasson
Immagine in evidenza: Olafur Eliasson, Your uncertain shadow (colour), 2010, HMI lamps (green, orange, blue, magenta), glass, aluminium, transformers, dimensions variable. Photo: María del Pilar García Ayensa / Studio Olafur Eliasson. Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Collection, Vienna © 2010 Olafur Eliasson